Credo che il 2023 sia stato un anno che non dovremo mai dimenticare.
Purtroppo a discapito di troppe vite, l’Occidente sta gettando la maschera e si sta mostrando drammaticamente per quello che è e quello che è sempre stato: quella parte di mondo che pretende di dettare l’agenda della moralità, decretando dei valori che definisce come universali e che poi applica solo parzialmente e solo nei confronti di quella parte di società privilegiata, ricca, o utile alla causa dei privilegiati attraverso, in maniera progressiva, ma non esclusiva, la manipolazione, l’oppressione, il colonialismo, l’apartheid e le bombe.
Non mi sto riferendo solo a quello che sta accadendo in Palestina, di cui ho cercato di portarvi delle testimonianze dirette in questo momento in cui il dramma si fa di nuovo catastrofe, o Nakba, come la chiamano i Palestinesi. Mi riferisco a tutte le popolazioni più povere del mondo, alle donne, alla comunità LGBTQIA+, ai migranti, alle popolazioni inascoltate nelle COP che subiscono gli effetti dei Cambiamenti Climatici, a* giovan* che protestano contro il permanere di un’economia fossili, ecc…
Oggi la Palestina rappresenta una lama che squarcia un velo di ignoranza generale. Un velo irrimediabilmente macchiato di sangue. Troppo sangue. Cascato il velo ci ritroviamo di fronte a uno specchio che ci mostra per quello che siamo. Possiamo fingere che non ci sia, ma invece è lì.
Vorrei che il 2024 sia l’anno in cui troviamo sempre di più la forza per esigere giustizia, senza multipli standard, e per screditare quei decisori politici che si stanno macchiando di crimini contro l’umanità, spesso per interposta persona: la storia è costellata di personaggi funesti, ma sono quelli che permettono a questi personaggi funesti di acquisire potete e agire che ricade una enorme parte della responsabilità. L’ho pensato dal primo momento in cui la Russia attaccò l’Ucraina: credo, ad esempio, che Putin non sarebbe arrivato lontano se fosse stato isolato da subito di fronte alle atrocità delle guerre commesse contro chi non era nostro vicino di casa e nei confronti dei giornalisti, dei dissidenti politici, delle minoranze negli oltre venti anni di presidenza. Invece abbiamo fatto accordi commerciali, lo abbiamo incensato e lo abbiamo arricchito. E con quei soldi ha fortificato il suo esercito.
Allo stesso modo noi europei continuiamo a essere fedeli amici degli Stati Uniti, la cui storia è fatta di guerre, macchinazione di colpi di stato per rovesciare governi democraticamente eletti, guerre pretestuose. I morti nelle guerre di Afghanistan e Iraq, in cui siamo stati coinvolti direttamente sono centinaia di migliaia. La guerra in Afghanistan ha una storia ventennale, con un picco di spese militari sotto il premio Nobel per la pace Barak Obama.
Noi intanto facciamo strage di civili nei mari, ai confini montani, nei deserti, alle frontiere tra i paesi più poveri attraverso centinaia di accordi per detenere coloro che hanno la sola colpa di essere nati dalla parte sbagliata della barricata che alziamo giorno dopo giorno, e che desiderano spostarsi da un luogo in cui non hanno futuro. Primo fra tutti l’accordo con la Libia che detiene un triste record in quanto a violazione dei diritti umani.
Ma non è forse violazione dei diritti umani anche finanziare chi i diritti umani li viola sistematicamente? Non è violazione dei diritti umani fare la guerra alle navi di soccorso che cercano di salvare le vite umane in mare? E anche di questo siamo colpevoli noi europei. Non voglio dilungarmi oltre in questo elenco, dovrei toccare tutti i reati ambientali e citare la sesta estinzione di massa, causata dalle alterazioni ambientali dovute alle attività umane dalla rivoluzione industriale ad oggi. Preferisco proseguire raccontandovi di un incontro che ho avuto negli ultimi giorni.
Ho passato il Natale e i giorni successivi a Mumbai. Vi ero stato una settimana prima per andare a sentire un concerto di Niccolò Fabi e ho finito per conoscere alcune persone che lavorano al consolato (oltre a Niccolò Fabi, Bob Angelini, Pier Cortese e il loro tecnico audio). Insomma, un incontro tira l’altro e decido di andare a Mumbai per passare il Natale con le mie nuove amicizie.
Durante il pranzo di Natale conosco un prete brasiliano, padre Mateus, che da circa cinque anni si trova a Mumbai e lavora per una ONG che è stata fondata diverso tempo fa per occuparsi dei malati di lebbra e tubercolosi. Oggi l’organizzazione, di stampo non religioso, si occupa in generale anche delle famiglie, dei bambini, delle donne e dei diversi tipi di povertà presenti nella città. Decido di visitare lo slum di Mumbai insieme a lui. Mi chiede di fare un po’ di foto per le campagne dell’ONG e, tra una cosa e l’altra, decido di porgli qualche quesito teologico.
Io che mi ritengo ateo e agnostico, provo curiosità per questo fatto umano che è la religione, di cui l’India, la Palestina, Israele sono pregni. La domanda che gli pongo riguarda il motivo per cui per i cristiani l’Antico Testamento sia un testo sacro, nonostante racconti anche di guerre, stragi, genocidi, mentre le massime più importante di Gesù furono “ama il tuo nemico” e “porgi l’altra guancia”. Dalla sua spiegazione capisco che le rivelazioni di Dio non sempre sono state interpretate in maniera corretta, motivo per cui sono state fatte tante guerre. Aggiungerei che sono state usate in maniera strumentale, motivo per cui Netanyahu oggi si permette di invocare il mito di Amalek, quando, in un impeto di vendetta, il re Saul “segue l’ordine datogli da Dio” di commettere un genocidio ante litteram: “Ora vai e attacca Amalek e distruggi completamente tutto ciò che ha e non risparmiarli. Ma uccidi l’uomo e la donna, il bambino e il lattante, il bue e la pecora, il cammello e l’asino”. Se questa non è una dichiarazione di intenti di commettere una pulizia etnica, non saprei quale dovrebbe essere.
La conversazione va avanti a lungo e ci ritroviamo a parlare del fatto che tutte le religioni fanno riferimento agli stessi archetipi e che se vissute nel profondo convergono verso la stessa cosa. Come a dire: “sono modi diversi di pregare lo stesso Dio o di giungere a uno stesso risultato”. “Perché hai scelto il Cristianesimo?”, gli chiedo. “Perché le religioni sono come le lingue, questa è quella che conosco meglio e che posso comprendere più profondamente”. Mi sembra la risposta più onesta che abbia ricevuto da una persona di Chiesa da sempre. Ovviamente su tante altre cose non ci siamo trovati d’accordo, ma è stata una conversazione comunque molto profonda. Un passaggio che mi ha colpito è quello relativo al concetto di Peccato Originale: “una cosa che non ho mai digerito della mia educazione religiosa è il senso di colpa che dobbiamo portarci dietro, il continuo dover chiedere perdono a Dio per qualcosa che non sappiamo nemmeno cosa sia e che comunque abbiamo commesso”, gli dico. Mi risponde facendo riferimento al mito di Adamo ed Eva e della mela. La mela rappresenta la conoscenza. Una volta colta non si torna indietro. Insomma, mentre ne parliamo maturo la mia nuova personalissima interpretazione del Peccato Originale (spero che i vari credenti a cui scrivo non me ne vogliano) riguarda il senso di responsabilità. Una volta che si coglie la mela si cerca di accedere alla conoscenza, si acquisisce coscienza, ma si acquisisce anche la libertà dell’arbitrio. E allora di quella conoscenza e coscienza bisogna fare uso responsabile.
Estendo questo ragionamento anche ad altri campi. Il campo del privilegio. Mi viene in mente quello che ha detto Elena Cecchettin all’indomani dell’omicidio della sorella Giulia, chiedendo a tutti gli uomini di fare mea culpa. Mi sono trovato d’accordo, faccio mea culpa in quanto facente parte di una categoria privilegiata, il cui privilegio è strutturale e se non faccio nulla per cambiare questa struttura, allora sono colpevole. Per dirla con De André: “ per quanto noi vi crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti”.
Ho letto in un articolo, se non sbaglio, di Michele Serra una giusta spiegazione attraverso un esempio: se di notte incontro una donna sola, a prescindere dalle mie intenzioni, io sarò per lei una presenza che può rappresentare una preoccupazione, un potenziale pericolo, una paura o peggio. Questo fa di me una parte del problema.
Essere uomini è il nostro peccato originale e dobbiamo fare i conti con esso. Ovvero assumercene la responsabilità. Forse ribattezzerei il peccato originale con “Privilegio Originale”.
Ma anche essere parte del mondo occidentale è il mio/nostro Privilegio Originale, ovvero un fatto rispetto al quale dobbiamo prenderci una responsabilità, proprio perché rappresenta un privilegio.
Ho pensato a quello che è successo nel campo profughi di Jericho, quando un gruppo di quasi 20 bambini mi ha seguito per diversi minuti: ero un uomo bianco, europeo, che si aggirava per un campo profughi dove un giorno sì e uno no l’esercito israeliano entra e arresta o uccide qualcuno, spesso bambini, ragazzini, o persone che non hanno commesso nulla. Spesso i soldati entrano fingendosi qualcun altro, magari un turista straniero. Io somigliavo sicuramente di più a un israeliano che a un palestinese. Per loro la mia presenza era fonte di preoccupazione, di potenziale pericolo. A un certo punto mi hanno chiesto se fossi israeliano, o se “parteggiassi” per Israele. Stessa cosa gli adulti, i quali, invece, con molta più discrezione mi controllavano a distanza. La tensione si è allentata quando abbiamo fatto reciproca conoscenza.
Il mio passaporto rappresenta un privilegio. Posso girare potenzialmente in tutto il mondo senza grossi limiti. In molti paesi stranieri, a cominciare da Israele, è un motivo per essere trattato con più riguardo da polizia ed esercito. Il viaggio che sto compiendo in questi mesi è un privilegio.
Insomma, per parafrasare lo zio dell’Uomo Ragno: “a grandi privilegi, grandi responsabilità”.
Chiudo con una storia raccontatami da un missionario comboniano a Castelvolturno ormai 19 anni fa. Qualcuno dei miei amici l’ha già sentita, ma mi è tornata in mente proprio durante l’incontro con padre Mateus, quando mi dice, tra una cosa e l’altra: “fare un po’ di bene, non è abbastanza”.
“Un giorno un topolino scappava da un gatto che voleva mangiarlo. Incontrata una mucca, le chiese subito aiuto. La mucca disse al topolino di mettersi dietro di lei e così fece il topo. La mucca a quel punto scaricò una bella montagna di cacca sul topolino, in modo da ricoprirlo completamente. Solo la coda del topo spuntava ancora dalla montagna di cacca. Arrivò in quel momento il gatto, che chiese alla mucca se avesse visto il topo. La mucca cercò ovviamente di depistare il gatto, indicandogli una direzione sbagliata, ma il gatto, più furbo, fece il giro intorno alla mucca e vide la coda del topolino spuntare. A quel punto agguantò la coda del topo e se lo mangiò.
Ci sono tre morali in questa storia:
- non tutti quelli che ti gettano merda addosso sono tuoi nemici
- non tutti quelli che ti tirano fuori dalla merda sono tuoi amici
- se devi stare nella merda, fallo fino in fondo”
Insomma, per questo 2024 ci auguro a tutti di avere il coraggio di stare completamente nella merda.