Gli angeli del fango (?)

A inizio giugno, a meno di due settimane dall’alluvione, un tratto di argine crollato di circa cinquanta metri è stato ricostruito, con lavori di somma urgenza. Ci sono voluti tre giorni e quasi centocinquanta viaggi di mezzi pesanti. Per due giorni la spola è stata fatta da un’azienda civile, l’ultimo giorno è stato mobilitato l’esercito, su indicazione del Comune di Faenza. L’esercito aveva mezzi adatti a trasportare quelle grandi quantità di terra lungo tragitti accidentati e infangati. Nella mia idea di Stato che ripudia la guerra, nonché nella mia visione anti-militarista del mondo, non vedo uso migliore dei corpi dell’esercito, se proprio dobbiamo averne e pagarli: capacità di coordinamento, mezzi, preparazione fisica, tempo e risorse economiche per contribuire a risolvere una situazione di emergenza.

 

…ma le cantine piene di fango, le strade piene di detriti erano gremite di volontari civili. Volontari che retoricamente vengono chiamati “angeli del fango”. Chi si è mosso in quelle settimane per raggiungere Faenza e le altre città colpite lo ha fatto con uno spirito di collaborazione, voglia di essere utile, senza false retoriche, senza parlare di “solidarietà”, senza dichiararsi “angeli”. Piuttosto scherzavano: “siamo di Imola. Imola da sempre è antagonista di Faenza, se non li aiutiamo a rimettersi in piedi con chi litighiamo?!”. Ironia, voglia di giocare e di mettersi in gioco.
Alluvione di Faenza - Via Carboni di giorno - le cantine piene di fango
Sono stato a mia volta un “angelo del fango”. Ma preferisco dire che sono stato volontario. Personalmente questa retorica degli “angeli” mi infastidisce, perché nasconde un’auto-assoluzione di chi avrebbe il dovere di affrontare l’emergenza e non c’è Stato: “la Romagna si rialza grazie agli angeli”. Gli angeli sono esseri soprannaturali, asessuati, che scendono dal cielo, con le ali, suonano trombe per annunciare l’apocalisse o portano messaggi di un essere soprannaturale di cui nessuno è in grado provare l’esistenza. I volontari sono persone in carne ed ossa, mosse dalla voglia di essere utili, senza alcun desiderio di essere eroi o angeli, anzi, i volontari hanno voglia di giocare, divertirsi, scherzare. Seri, ma non seriosi.
Ho condiviso fango e fatica con ragazze e ragazzi che non esitavano una frazione di secondo a scendere nelle cantine senza luce, con il liquame che arrivava fino alle ginocchia, a sgombrarle da decine e decine, se non centinaia di oggetti, mobili, divani e poltrone impregnate di fango, libri ormai da buttare, ma anche oggetti pericolosi, vetri, specchi, barattoli di vernice e altri solventi. Ragazzi che, ancora sporchi di fango, la sera andavano in piazza a festeggiare per il lavoro fatto insieme.
Anche le famiglie locali e i ragazzi faentini avevano quell’energia e quel brillio negli occhi, credo anche grazie a tutta l’energia positiva trasmessa da questa mobilitazione civile collettiva: “oggi sono addirittura felice di essere qui a occuparmi di casa mia, di spalare fango, di liberarla dai detriti. Forse perché adesso non c’è un attimo di tregua con tutto il lavoro da fare, non c’è il tempo di pensare. Ma credo che quando invece dovremo iniziare a fare i lavori nelle case, ad aspettare il nostro turno per i sopralluoghi dei periti, iniziare le ristrutturazioni, allora avremo il tempo di pensare. Quello sarà il momento più difficile. “ Mi dice una ragazza con cui scambio due battute in via Carboni, una delle aree più colpite.
Quella stessa via Carboni dove sono tornato di notte per documentare la desolazione che si respira quando tutte le case sono vuote e di persone in strada non ce ne sono. Ma anche quella stessa via Carboni dove nel giro di poche ore abbiamo portato via, a suon di secchi e carriole, centinaia di litri di fango.
I volontari si sono organizzati e auto-organizzati: chi veniva da fuori Faenza o da fuori dalla Romagna si è arrangiato per trovare un posto dove dormire. Per fortuna tante associazioni (fra cui i rioni, ovvero le organizzazioni delle 5 zone di Faenza che competono ogni anno nel palio locale) hanno preparato i pasti, hanno aiutato a coordinare i volontari, a gestire le richieste delle famiglie. C’era anche Emergency, insieme al Comune di Faenza. C’erano anche la protezione civile, i pompieri, le società di spurghi per pompare il grosso del fango più liquido dalle cantine. Ma soprattutto c’erano, almeno nelle prime settimane, centinaia di ragazze e ragazzi e persone di tutte le età.
Nessuno dei volontari è partito con una particolare preparazione, né con attrezzature, né assicurazioni in caso di infortuni. La stampa si è spesa tanto parlando degli “angeli”. Dai suoi post sui social, Enrico Mentana si è chiesto come mai non ci fossero anche gli attivisti di Ultima Generazione a spalare (come se avesse fatto un censimento). Ma io, e non solo io, mi sono chiesto perché tutto questo “lavoro sporco”, nel vero senso della parola, sia stato lasciato ai volontari e alle associazioni, oltre alla Protezione Civile, che però non disponeva di un numero adeguato di persone. Mi sono chiesto come mai a immergersi nel fango, senza nessuna esitazione ci fossimo noi e non persone addestrate, con mezzi e risorse economiche.
Poi, a due mesi di distanza dall’alluvione, il governo ha finalmente nominato il commissario straordinario: ironia della sorte, si tratta di un generale dell’esercito, senza portafoglio, per solo un anno. Ancora non si sa come potrà gestire i lavori. Ma forse un generale dell’esercito, con la ricostruzione, non c’entra proprio nulla. Ad oggi, comunque, c’è ancora bisogno del lavoro di tanti volontari, ma iniziano ad essere sempre meno. Eppure di cantine, garage e seminterrati ancora da aprire ce ne sono molti. I volontari che ancora si ostinano ad andare sono coordinati dagli Amici di Paride.
Alluvione di Faenza - Angeli del fango 1

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