L'ospedael al Shifa ridotto in maceriae dalle forze israeliane a Gaza

L’inferno in Terra

Rami e Alaa sono riusciti a raggiungere il Cairo con i rispettivi figli, Asia, che finalmente ha raggiunto la sorella Fatima, e Yazan.

Purtroppo, la situazione in cui si sono trovati non è, per ora, migliore di quella in Cisgiordania, a Ramallah. Gli ospedali in cui sono stati presi in carico non sembrano avere le cure adeguate per loro. 

Alaa, madre di Yazan, mi ha scritto qualche giorno fa, stanca e senza più speranza:
“Non appena siamo arrivati all’ospedale ci hanno detto che non c’è alcun trattamento, solo test. È un ospedale governativo e le condizioni sono terribili.
La disperazione è entrata nel mio cuore e quello di Rami. Desideriamo la morte ogni momento di questo tormento. La vita è così dura che non la sopporto più. Sono stanca di lottare, sono distrutta dentro.”

In accordo con Alaa e Rami ho provato a prendere contatto con alcune persone dell’organizzazione mondiale della sanità in Egitto e nei Territori Palestinesi Occupati per trovare una soluzione e farli curare fuori dall’Egitto. Sono riuscito a fare una call due giorni fa con alcuni operatori dell’ufficio egiziano. Sto procurando loro i documenti necessari per fare sì che possano valutare la loro situazione.

Purtroppo, invece, gli uffici e il contatto che ho avuto dell’OMS nei territori palestinesi occupati, per fare sì che valutino anche i casi dei malati che ancora si trovano a Gaza, non mi stanno ancora rispondendo. 

Dina, al riguardo, mi dice che le condizioni di Mohammed continuano a peggiorare.

Maysaa, invece, mi ha scritto pochi giorni fa. Lei e il fratello Abdullah il 18 agosto sono stati bombardati a Khan Younis, alle Hamad Towers. Si sono separati e ora vivono ospiti da parenti. Un cognato di Maysaa è stato ucciso da un attacco missilistico.

Due giorni fa Maysaa mi ha scritto: “Non mi sono ancora sistemata, stiamo cercando un posto, la maggior parte del terreno è sovraffollato di persone. Quando siamo stati sfollati sotto i bombardamenti, non abbiamo potuto prendere le nostre tende e i nostri effetti personali. Siamo tornati sul posto per cercarle e ci sono state rubate, purtroppo ora sto cercando una nuova tenda, sto temporaneamente da un parente.”

Ormai è passato quasi un anno da quando questo inferno in Terra è iniziato. E purtroppo anche le notizie dalla Cisgiordania non smettono di essere terribili. Dal 7 ottobre a oggi le forze israeliane hanno ucciso oltre 650 palestinesi. Qualche giorno fa un attacco di terra a Jenin, Tulkarem e Tubas ha lasciato dietro di sé una scia di distruzione che non si vedeva dai tempi della seconda Intifada.

VI invito a leggere l’articolo del Manifesto di Chiara Cruciati del 29 agosto.

Altri amici da altre città ci scrivono: “sappiamo che saremo i prossimi”.

In questo turbine di terribili eventi anche la fattoria di un’altra conoscenza è stata data alle fiamme.
Si tratta del progetto di un uomo che da decenni pratica la resistenza non-violenta contro l’occupazione israeliana. Una fattoria che è stata divisa in due dal muro di separazione e che sopravvive nella morsa del muro da una parte e di un’industria chimica che rilascia i propri fumi proprio sui suoi terreni, dall’altra parte.

Nella sua fattoria ha sviluppato un sistema di permacultura e agricoltura biologica (nei limiti del criminale funzionamento dell’industria chimica a lato) e autoproduzione di biogas e elettricità, per fare fronte al taglio delle forniture da parte dell’occupazione israeliana. È un uomo che ogni volta racconta con orgoglio la sua lotta e le innovazioni che apporta alla sua fattoria, per fare fronte alle difficolta dell’occupazione, e il cui viso si riga di lacrime e la cui voce si rompe ogniqualvolta ricorda i sacrifici di sua moglie, che ha portato avanti la fattoria nei tanti anni in cui lui era in carcare. 

È un’altra delle tante testimonianze viventi che la violenza di Israele non ha nulla a che fare con la “sicurezza”, l’”autodifesa” o “il diritto a esistere”, ma al contrario con la creazione di un clima di insicurezza, pericolo e sospensione dei diritti umani nei confronti dei palestinesi, ovunque essi siano, chiunque essi siano e qualunque cosa facciano. 

È la testimonianza vivente che i palestinesi praticano ampiamente la resistenza non-violenta. 

È la testimonianza vivente che la resistenza non-violenta è quella che Israele teme di più.

 

 

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