A Gaza la tragedia non si ferma. Non si è fermata a Natale, non si è fermata a Capodanno. Non si ferma nemmeno in questi giorni in cui il Sudafrica ha portato Israele alla Corte Internazionale di Giustizia per il reato di genocidio.
Giovedì 11 gennaio ho ascoltato buona parte della tesi dell’accusa. Mentre ascoltavo, mi sembrava di prendere una boccata di ossigeno. Avvocati sudafricani e irlandesi, tra gli altri, hanno mosso accuse gravissime a Israele. Hanno rimarcato il fatto che da 76 anni i palestinesi subiscono l’apartheid di Israele e che quello che vediamo oggi non è iniziato il 7 ottobre.
C’è un passaggio che mi colpisce perché mette in evidenza un precedente storico: “il primo genocidio nella storia in cui le vittime stanno trasmettendo in tempo reale la propria distruzione, nella disperata e vana speranza che il mondo faccia qualcosa.” Insomma, non abbiamo scuse, non possiamo dire: “non sapevamo.”
A un certo punto l’avvocata irlandese Blinne Ní Ghrálaigh snocciola alcune statistiche: ogni giorno Israele uccide 247 palestinesi, uno ogni 6 minuti; 48 madri, una ogni due ore; 117 bambini, uno ogni 12 minuti; dieci bambini vengono amputati, senza anestesia.
Intanto da Gaza Maysaa un’altra volta non accede a internet da 14 giorni. Il suo ultimo accesso è stato il 31 dicembre a 00:03. Mercoledì e venerdì il mio amico di Ramallah ha fatto un controllo nella lista delle vittime e Maysaa non appare. Abbiamo anche controllato il nome di sua figlia. Questo mi lascia sperare che, come l’ultima volta, abbia problemi di accesso alla rete.
Oggi, invece, sono riuscito a sentire Dina. Si trova a Rafah, sfollati in una scuola. Dice che non hanno né cibo, né acqua poiché costano caro e stanno finendo i soldi. Ormai l’acqua, non potabile, costa molto più che a Gerusalemme, che normalmente ha prezzi più alti, mentre mangiano sempre cibo in scatola.
Dice che gli sfollati sono tantissimi, tutti senza né cibo ne acqua.
Aggiunge che le Nazioni Unite sono una grande bugia. A questa affermazione io di certo non me la sento di ribattere in nessun modo.