Lo scheletro di una casa distrutta a Ramallah è ricoperta di graffiti che ricordano la storia e la cultura palestinese. Tra questi un episodio doloroso della storia recente, quando pochi giorni dopo l'inizio della seconda intifada, nel settembre 2000, un padre e suo figlio, il piccolo Mohammed al-Durrah e suo padre Jamal, sono stati uccisi dall'esercito israeliano, mentre cercavano di ripararsi dai proiettili dell'esercito israeliano e Jamal cercava di fare da scudo con il suo corpo a suo figlio.

Sui muri della Palestina

La resistenza e la resilienza passano attraverso il ricordo

I muri della Palestina sono stati trasformati, paradossalmente, in mezzi di resistenza contro i muri stessi che i palestinesi sono costretti ad aggirare a causa dell’occupazione e dell’apartheid. 

Sono diventati mezzi di comunicazione, di arte, di espressione, di omaggio alle persone che hanno contribuito alla loro emancipazione e autodeterminazione e alla resistenza. Camminando nelle città e nelle strade della Cisgiordania si incontrano ovunque graffiti e messaggi. 

Nella foto di copertina del post: un particolare di un graffito a Ramallah rappresenta uno degli episodi più tragici della Seconda Intifada, quando nel settembre 2000 il piccolo Mohammed al-Durrah e suo padre Jamal sono stati uccisi dall’esercito israeliano, mentre cercavano di ripararsi dai proiettili e Jamal cercava di fare da scudo a suo figlio con il proprio corpo.

 

Il muro di separazione

Qalqilya è una città della Cisgiordania famosa per essere per un lungo tratto del suo perimetro circondata dal muro di separazione che Israele ha eretto su un tracciato di almeno 700 km all'interno dei territori occupati palestinesi. La foto, scattata vicino al muro il muro, alto circa 8 metri, percorrere un lungo tratto, in un'area desolata della città.
Un tratto di del muro di separazione nella città di Qalqilya, famosa per avere il proprio perimetro in gran parte occupato dal muro.

Il muro di separazione è stato costruito dalle autorità israeliane in seguito allo scoppio della Seconda Intifada. È un muro in cemento armato, lungo oltre 700 km e alto tra gli 8 e i 10 metri, senza soluzione di continuità e costellato di torrette da cui l’esercito israeliano può controllare e sparare. Il muro è costruito in buona parte non sul confine tra i territori palestinesi e la Palestina storica, come i palestinesi chiamano Israele, ma all’interno dei territori palestinesi, in modo da sottrarre ulteriore territorio ai palestinesi. Molte famiglie sono state separate a causa del muro, addirittura vi sono case, lungo il tragitto, che sono state distrutte o divise in due per lasciare spazio ai lastroni di cemento armato. Il muro, inoltre, è modulare, in modo che possa essere all’occorrenza spostato. 

Il muro di separazione è diventato uno dei simboli più evidenti della segregazione e dell’apartheid a cui sono sottoposti i palestinesi: per spostarsi oggi i palestinesi devono percorrere lunghe deviazioni, anche per diverse ore, per raggiungere luoghi che, prima della costruzione del muro, potevano essere raggiunti in pochi minuti.

A Betlemme il muro è ricoperto per lunghissimi tratti da tantissimi graffiti, anche di artisti famosi, come Banksi. Non tutti i palestinesi apprezzano i graffiti realizzati dagli stranieri, ma nonostante ciò messaggi,  ritratti e illustrazioni ne ricoprono praticamente ogni angolo.

 

Un tratto del muro di separazione a Betlemme. Un graffito rappresenta due mani vestite con due guanti azzurri. In una delle due mani una colomba viene stretta e schiacciata in un pugno, mentre un dito dell'altra mano la spinge all'interno del pugno. Diverse altre scritte circondano il graffito.
Un graffito sul muro di separazione a Betlemme. La pace viene uccisa ogni giorno in Cisgiordania.
Betlemme, un graffito sul muro di separazione mostra Shireen Abu Akleh, la giornalista di Al Jazeera uccisa nel maggio 2022 da un cecchino israeliano. La giornalista è rappresentata con il giubbotto antiproiettili che indossano i giornalisti di guerra. Una scritta dice "Live news still alive".
Un graffito sul muro di separazione a Betlemme mostra Shireen Abu Akleh, uccisa nel maggio 2022 da un cecchino israeliano. Per mesi Israele ha negato la propria responsabilità nell'assassinio di Shireen Abu Akleh.
Il muro di separazione a Betlemme è uno dei luoghi più visitati da parte di chi vuole conoscere gli effetti dell'apartheid israeliana nei confronti dei palestinesi. Il muro, fotografato di taglio riflette la luce del tramonto, mentre un ragazzo vi si arrampica lungo una delle fessure che separa le lunghe lastre di cemento armato che lo compongono.
Un ragazzo si arrampica sul muro di separazione a Betlemme, lungo una delle scanalature che si trovano tra una lastra di cemento e l'altra.

Handala

Handala è uno dei simboli della sofferenza del popolo palestinese. Un bambino di un campo profughi, di 10 anni, che da le spalle al mondo mentre osserva le azioni rappresentate nelle illustrazioni in cui appare. È vestito di stracci e a piedi nudi, a volte indossa una keffiyeh, o ha in mano la chiave di una casa palestinese, simbolo della cacciata dei palestinesi dalle proprie dimore durante la Nakba, la catastrofe iniziata nel 1948, a volte con il pugno alzato, o un’arma. più spesso con le mani dietro la schiena, in segno di rassegnazione.

Handala è un personaggio dell’illustratore Naji al-Ali, che aveva 10 anni quando fu espulso dal suo villaggio, come Handala. Naji al-Ali è stato assassinato a Londra nel 1987, probabilmente da agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano per le operazioni all’estero. 

Naji al-Ali ha raccontato in maniera tagliente e cruda per molti anni, attraverso Handala, che con l’innocenza dei bambini palestinesi ha la capacità di mettere a nudo la violenza e l’ipocrisia dei potenti, la storia, l’attualità, l’occupazione e la pulizia etnica della Palestina, criticando tanto l’occidente, quanto il mondo arabo e le sue ricche élite.

Handala è entrato a fare parte della cultura e della simbologia palestinese al punto che i graffiti che lo rappresentano sono ovunque. Una sera, passeggiando nelle strade di Ramallah, ho trovato un locale, l’Handala café. Sui muri del locale erano appese decine di illustrazioni di Naji al-Ali.

Delle lapidi nell'ingresso del campo profughi di Betlemme commemorano i martiri palestinesi uccisi dall'esercito israeliano. Molti di loro sono morti nelle carceri israeliane e i loro corpi non sono stati restituiti alle famiglie fino alla conclusione della pena. Un atto di punizione collettiva che toglie alle famiglie e al martire la dignità di una sepoltura. Sullo sfondo si vede un disegno di Handala che tiene un fiore nella mano. Handala è uno dei simboli della sofferenza del popolo palestinese. Un bambino rappresentato di spalle, vestito di stracci, a volte rappresentato con una keffieh, a volte con in mano la chiave di una casa palestinese, a volte con il pugno alzato, a volte con un'arma. più spesso con le mani dietro la schiena, in segno di rassegnazione. Handala è un personaggio dell'illustratore Naji al-Ali, assassinato a Londra nel 1987, probabilmente da agenti del Mossad. Qui Handala è rappresentato con un fiore rosso in mano e una keffieyh sulle spalle.
Delle lapidi all'ingresso del campo profughi di Deisheh, a Betlemme, commemorano i martiri palestinesi. uccisi dall'esercito israeliano. Molti di loro sono morti nelle carceri israeliane e i loro corpi non sono stati restituiti alle famiglie fino alla conclusione della pena. Un atto di punizione collettiva che toglie alle famiglie e al martire la dignità di una sepoltura. Sullo sfondo un'immagine di Handala.
All'interno dell'Handala Café a Ramallah, un manifesto dentro ad una cornice rappresenta Naji al-Ali, l'autore di Handala, che abbraccia il suo personaggio, come ad abbracciare tutti i bambini palestinesi. Una lacrima riga il viso di Naji al-Ali, che in una mano stringe un pennino per disegnare. Sopra di loro una scritta recita "free palestine". Sulla spalla di Handala è appesa una bandiera palestinese. Una candela illumina di due personaggi.
Un'illustrazione dentro al Handala Café rappresenta Naji al-Ali che abbraccia il suo personaggio.
L'ingresso del Handala Café. Nella foto, scattata con un grandangolare, si vede in primo piano un particolare del disegno della testa di Handala, intagliato in pannello di legno, e il bancone dell'ingresso sullo sfondo.
Sin dal primo ingresso nel locale si è accolti dalla sagoma di Handala, che fa da Cicerone nella storia dell'occupazione e della pulizia etnica della Plaestina.
Un muro del Handala Café, fotografato di taglio, ricoperto di riproduzioni delle illustrazioni di Naji al-Ali. La foto è scattata nel buio del locale, che era chiuso al momento della visita.
I muri dell'Handala Café ricoperti delle illustrazioni di Naji al-Ali.
Un muro del Handala Café ricoperto di riproduzioni delle illustrazioni di Naji al-Ali. La foto è scattata nel buio del locale, che era chiuso al momento della visita.
Seguendo le ilustrazioni di Naji al-Ali si può ripercorrere l'intera storia della pulizia etnica e dell'occupazione palestinese.

Intifada culturale

Il Freedom Theatre si trova all’interno del campo profughi di Jenin. La sua storia è quella di una realtà che porta avanti una resistenza non-violenta fatta di cultura, teatro e un supporto fondamentale ai bambini sottoposti continuamente a numerosi traumi dovuti alla violenta occupazione israeliana. 

La storia inizia negli anni ’90, quando una donna ebrea, Arna Mer-Khamis, sposata con un uomo palestinese, ha iniziato a lavorare con i bambini del campo profughi, utilizzando il teatro per aiutarli e elaborare la propria sofferenza, la propria rabbia e i traumi.

Il Freedom Theatre è stato poi fondato da suo figlio, Juliano Mer-Khamis, dopo la morte della madre. Juliano è stato ucciso nel 2011, probabilmente da un militare israeliano camuffato da combattente palestinese. 

La storia del Freedom Theatre può essere approfondita attraverso il documentario “Arna’s children” diretto dallo stesso Juliano e da Danniel Danniel.

Il 3 luglio 2023 il campo profughi di Jenin è stato attaccato violentemente dall’esercito israeliano, che ha causato la morte di almeno 12 palestinesi e ingenti danni agli edifici, compresa la rimozione dell’asfalto dalle strade tramite bulldozer. Durante l’attacco la sede del Freedom Theatre è stata utilizzata come base dall’esercito israeliano. Nell’attacco anche alcuni murales fuori dalla sede del Freedom Theatre sono stati bruciati e danneggiati.

Un murale nel campo profughi di Jenin, fuori dalla sede del Freedom Theatre, una delle più interessanti realtà culturali e di resistenza della società palestinese. Il murale rappresenta alcune delle più iconiche personalità della storia palestinese, tra cui lo scrittore Ghassam Kanafani e la freedom fighter e attivista Leila Khaled. I disegni sono in bianco e nero, mentre lo sfondo è rosso. alla base del murale una sagoma nera ricorda folle di palestinesi e la testa di Handala
Spesso i murales palestinesi rappresentano personaggi iconici della storia palestinese, scrittori, poeti, attivisti e combattenti, come lo scrittore Ghassam Kanafani e la freedom fighter e attivista Leila Khaled, qui rappresentati come dei protettori del popolo e della causa palestinese.
Un murale all'interno del campo profughi di Jenin, fuori dal Freedom Theater, una delle più interessanti realtà, rappresentava una manifestazione di clown. L'esercito israeliano, entrato all'inizio di luglio del 2023 nel campo profughi di Jenin, ha occupato come prima cosa la sede del Freedom Theatre. Il murale così come diverse altre parti dell'edificio, è stato danneggiato e quasi non si riconosce più cosa fosse disegnato.
Un murale all'interno del campo profughi di Jenin, fuori dal Freedom Theater, rappresentava una manifestazione di clown. L'esercito israeliano, entrato all'inizio di luglio del 2023 nel campo profughi di Jenin, ha occupato come prima cosa la sede del Freedom Theatre. Il murale così come diverse altre parti dell'edificio, è stato danneggiato e quasi non è più riconoscibile.

In ricordo dei martiri

Una delle cose che salta subito all’occhio entrando nelle citta palestinesi, nei campi profughi e nelle città vecchie, sono i numerosissimi ritratti, graffiti, fotografie e manifesti che rappresentano i martiri. Donne, uomini, ragazze e ragazzi, studentesse e studenti e spesso anche bambine e bambini uccisi dall’esercito israeliano. A volte sono degli stencil ripetuti più volte su tutti i muri della città, altre volte sono dei  grandi ritratti, fatti per rimanere a lungo. 

Spesso i muri nei campi profughi sono utilizzati anche come mezzi di comunicazione, per aggiornare la comunità su quanto accade in merito all’occupazione israeliana. Nel campo di Dheisheh l’esercito israeliano era solito abbattere i muri su cui venivano riportate le notizie, fino a quando un giorno gli abitanti del campo profughi non hanno deciso di scrivere contemporaneamente su tutti i muri possibili. 

Un muro nella città di Ramallah con uno stencil rappresentante il viso stilizzato di un martire palestinese. Il suo viso ha barba baffi e occhiali. Una scritta sul muro, non facilmente leggibile, sembra dire "feel free".
Un muro nella città di Ramallah con uno stencil rappresentante il viso stilizzato di un martire palestinese.

Raccontare la storia della palestina a Dar Zahran

Girando nelle strade di Ramallah ci si può imbattere in un luogo speciale: si tratta della casa museo Dar Zahran.

Per 250 anni è stata la casa della famiglia Dar Zahran Jaghab, la casa del Mukhtar di Ramallah e centro di accoglienza per viaggiatori.

Al suo interno si trovano decine di opere e foto storiche della Palestina. Tra queste, al momento della mia visita, di particolare attenzione c’era una serie di quadri che rappresentavano le vicende del popolo palestinese durante la pulizia etnica del 1948.

Alcuni quadri rappresentano la sofferenza dei civili costretti a fuggire nel deserto, dove molti hanno perso la vita, o via mare, imbarcandosi su navi in partenza dai porti della Palestina, a Jaffa, ad Haifa, senza sapere dove le barche fossero dirette e diventando così profughi nei paesi vicini.

Ricostruire con arte

Nella città vecchia di Nablus si trova un piccolo angolo di arte culinaria e non solo. Si tratta del progetto The Yalla Project di rinnovamento di alcuni edifici della città vecchia distrutti dall’occupazione israeliana, portato avanti da due fratelli e dalla moglie di uno di loro, due architetti e un storico urbanistico.  

Caffè, alberghi e ristoranti nascono così tra gli edifici della città vecchia, rinnovando la sua antica bellezza e dandole un nuovo aspetto ancora più affascinante, nel rispetto dell’architettura originale.

All’interno di uno di questi caffè ho trovato un laboratorio di pittura con decine di quadri che prepotentemente raccontano di un luogo che, nonostante la difficoltà dell’apartheid e dell’occupazione, non intende cedere e, anzi, continua a prosperare e resistere.

La resistenza della street art e degli sport urbani in cisgiordania

Poco distante da Nablus si trova un posto speciale. Uno skatepark gremito di ragazzi, ragazzini, bambine e bambini che imparano ad andare in skateboard. Insieme a loro tanti volontari internazionali che si prodigano nel dare loro lezioni. 

Anche questa forma di resistenza, attraverso il gioco, lo sport, l’uso alternativo della strada e degli spazi urbani, regala vita e vitalità a un gruppo folto e intergenerazionale di palestinesi. 

Anche lo skatepark parla a chi vi passa vicino, attraverso i murales, le scritte, i messaggi che reclamano una Palestina libera.

Uno scorcio dello skatepark vicino a Nablus. Un ragazzo salta oltre una rampa con il suo skateboard. La rampa è dipinta con una bandiera palestinese e un graffito di Handala.
Uno skater salta oltre una rampa dello skatepark vicino a una bandiera palestinese e in compagnia di un graffito di Handala.

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Scroll to Top