Jenin - Graffiti of the founder of the Freedom Theatre Juliano Mer Khamis

La solidarietà per il popolo palestinese

Da giorni sto cercando di mantenere i contatti il più possibile con Dina, mentre Maysaa ancora non appare sul WhatsApp dal 31 dicembre. È passato un mese e mezzo ormai. Il mio amico di Ramallah mi ha aggiornato alcuni giorni fa dicendo che ancora non ci sono notizie dagli elenchi ufficiali delle vittime, ma aggiunge anche che sta diventando sempre più difficile riuscire ad aggiornarli.

Dina, come sapete, si trova a Rafah, rifugiata in una scuola. In questi giorni l’ho sentita spesso perché arrivano continuamente notizie di bombardamenti.

Purtroppo, sembra che le cose andranno peggiorando, poiché Netanyahu ha rifiutato la proposta di tregua da parte di Hamas, che in una formulazione iniziale era stata mediata da Qatar, USA ed Egitto e poi rielaborata da Hamas stessa. La proposta prevedeva una tregua di 135 giorni, per permettere, tra le altre cose, il rilascio degli ostaggi, non solo da parte di Hamas, ma anche da parte di Israele. La precedente tregua di una settimana aveva permesso il rilascio di 105 ostaggi da parte di Hamas e di 240 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. 

Quello che raramente viene detto è che Israele, mentre rilasciava 240 detenuti, ne arrestava altri. Solo nelle prime quattro settimane dopo il 7 ottobre sono stati arrestati 2200 palestinesi facendo salire il bilancio di quelli in detenzione amministrativa (ovvero senza accuse e processo) da 1319 a più di 2000

A completamento della descrizione del clima che si respira in Israele, vi giro anche un articolo sulla repressione da parte dello stato Israeliano nei confronti dei suoi stessi cittadini che dissentono dalla versione ufficiale sui fatti del 7 ottobre.

Intanto diverse fonti dicono che ancora oggi Israele non ha presentato le prove riguardo alla partecipazione di 12 membri dell’UNRWA agli attacchi del 7 ottobre e la loro connivenza con Hamas. Lo stesso commissario generale dell’UNRWA ammette di aver licenziato i dipendenti accusati senza che fossero state fornite prove. Screditare e smantellare l’UNRWA può avere effetti gravissimi per i palestinesi, poiché essa è l’unica istituzione che dal 1948 fa un censimento dei rifugiati palestinesi, rappresentando quindi l’unico organo che può permettere di continuare, in maniera ufficiale, a reclamare, tra le altre cose, il diritto al ritorno, stabilito dalla risoluzione ONU 194 del 1948 e mai rispettato da Israele. Di seguito trovate un podcast di Internazionale e un articolo del Guardian a riguardo. 

Intanto, in Italia, mentre montano le polemiche per le dichiarazioni e i testi di Ghali e Dargen D’Amico durante il festival di Sanremo, con conseguente comunicato stampa dell’amministratore delegato della RAI, letto in tutta fretta e in diretta da Mara Venier, che esprime incondizionata solidarietà a Israele, ma non fa lo stesso per la martoriata gente di Gaza, scopriamo che ENI (partecipata dallo Stato Italiano) e altre aziende petrolifere hanno preso accordi con Israele per l’esplorazione di un giacimento di gas al largo di Gaza, in un’area di mare che, teoricamente, rientra nei confini marittimi palestinesi, secondo le convenzioni del diritto marittimo delle Nazioni Unite firmate nel 2019 anche dalla Palestina.

Alcuni giorni fa Casapace ha organizzato una videochiamata con uno dei partner in Cisgiordania, che svolge attività di carattere sociale in uno dei campi profughi. Di seguito vi mando alcuni dei punti importanti che ci sono stati raccontati.

“L’esercito israeliano compie continuamente raid nel campo, in genere di notte o all’alba. Spesso l’obiettivo è fare sapere che hanno il controllo sul posto, non per forza c’è un obiettivo altro.

Nelle case entrano anche i coloni: in una casa sono entrati e hanno distrutto tutto.
Di molte persone arrestate dal 7 ottobre ad oggi non si sa nulla, non si sa dove si trovino. Gli avvocati non hanno modo di raggiungere i prigionieri.

Dal 7 ottobre a oggi l’esercito israeliano ha causato:

  • 8 martiri
  • 26 feriti
  • 30 arresti
  • 44 case obiettivo di raid, 5 delle quali di volontari dell’associazione.

La paura dei raid e degli attacchi che l’esercito compie anche in abiti e con mezzi civili, costringe le scuole a funzionare a singhiozzo, le persone a non uscire di notte, l’associazione a limitare al massimo le attività per non mettere a rischio bambini e giovani.

A essere messa sotto attacco è la vita palestinese: l’educazione, la cultura, la storia. L’intento è spingere le persone ad andarsene: se ne stanno approfittando ora che gli occhi sono su Gaza.
Per quanto riguarda la situazione economica, dal 7 ottobre 180.000 lavoratori cui è stato ritirato il permesso di lavoro in Israele sono disoccupati. Gli attacchi e i checkpoint hanno portato anche alcune compagnie palestinesi a fermarsi, inoltre i dipendenti pubblici non vedono lo stipendio da mesi, o ne ricevono solo parte.

La crisi dell’UNRWA poi danneggia il diritto a ricevere cure e altri servizi: è da vent’anni che che Israele cerca di fare chiudere l’UNRWA per cancellare la “questione” dei rifugiati.

È, però, la prima volta che sentiamo che tutto il mondo sa cosa ci sta accadendo,. Vediamo i popoli scendere in strada e questo ci rincuora, così come ci rincuora la vostra vicinanza.”

A proposito di solidarietà nei confronti dei palestinesi, alcune realtà, tra cui il Freedom Theatre di Jenin, sono stati nominati alla candidatura per il Premio Nobel per la Pace, insieme a Maz Aziza, Wael Al-Dahdouh, Hind Khoudary, Bisan Owda e le organizzazioni Al-Haq, Boycott, Divestment and Sanctions (BDS), Defence for Children – Palestine, EcoPeace, per citarne solo alcune.

Del Freedom Theatre vi ho scritto in seguito agli attacchi delle scorse settimane e agli arresti di Ahmed Tobasi, direttore artistico, rilasciato pochi giorni dopo, e Mustafa Sheta, produttore dell’organizzazione teatrale, ancora sotto arresto.

Di molti degli altri nominati ho scritto qui. 

Trovate l’elenco completo al seguente link:

https://en.wikipedia.org/wiki/2024_Nobel_Peace_Prize

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