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Un passo avanti e tre passi indietro

Due giorni fa la Corte Internazionale di Giustizia si è pronunciata: il Sudafrica ha fornito prove sufficienti per decidere di procedere con il processo per genocidio a Gaza nei confronti di Israele. La difesa di quest’ultimo non è stata, invece, convincente. Probabilmente ci vorranno mesi o anni. Ma un passo è stato fatto. 

Quello che, però, non ha chiesto la Corte Internazionale di Giustizia è un cessate il fuoco immediato. Si può intendere che ci abbia girato attorno richiamando Israele a impedire omicidi, gravi danni fisici o mentali, distruzione fisica totale o parziale del popolo palestinese e l’imposizione di misure che possano impedire le nascite, gli attacchi al sistema sanitario, l’incitazione alla violenza (come nel caso di diversi giornalisti), gli abusi sulle donne e le umiliazioni di uomini e bambini.

Non appena ho letto i titoli ho scritto al mio amico di Ramallah. All’entusiasmo che ho espresso per quello che per me sembrava un momento storico, lui ha risposto con un bagno di realtà, dicendo che nessuno aveva alcuna fiducia nella comunità internazionale e quindi in quello che sarebbe successo o possa accadere: quanto pronunciato dalla Corte Internazionale di Giustizia non fermerà Israele dal continuare quello che sta facendo, non da 100 giorni a questa parte (aggiungo io), ma da 75 anni. Ha comunque convenuto che è un importante passo nella direzione giusta, grazie al Sudafrica e ai paesi che stanno appoggiando la causa (tra cui non compare l’Italia).

 

Purtroppo un passo avanti ha comportato, il giorno dopo, tre passi indietro. Israele ha dichiarato il 10 gennaio che alcuni dipendenti dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, istituita all’indomani dell’istituzione dello Stato di Israele e, quindi, della Nakba (la catastrofe, per dirla con i palestinesi) del 1948. In questi 75 anni l’UNRWA ha rappresentato un’istituzione importante che ha portato aiuti ai palestinesi sotto forma di scuole, ospedali e aiuti umanitari in questi mesi di genocidio a Gaza. All’accusa di Israele hanno fatto seguito la sospensione del finanziamento dell’Agenzia da parte di Stati Uniti, Italia, Gran Bretagna, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Finlandia, Australia e Canada.

L’UNRWA è un’istituzione di un’importanza vitale per i rifugiati palestinesi in tutto il mondo. Un’istituzione la cui esistenza stessa dimostra quanto Israele abbia da sempre ignorato le risoluzioni delle Nazioni Unite, a cominciare dalla Risoluzione 194 che, tra le altre cose, prevede il diritto al ritorno dei Palestinesi, mai rispettato.

Ci sono alcuni elementi che trovo assolutamente inaccettabili: l’UNRWA ha circa 13.000 dipendenti, molti dei quali sono palestinesi. Israele non si è risparmiata nell’attaccare le sedi dell’UNRWA che danno rifugio ai palestinesi di Gaza. Tra queste strutture ci sono anche le scuole. Israele ha fatto oltre 100 morti tra i dipendenti dell’UNRWA. Gli accusati di avere partecipato agli attacchi del 7 ottobre sono 12 persone. La sospensione dei fondi somiglia molto di più a un’altra forma di punizione collettiva per i palestinesi e un discredito di un’Agenzia delle Nazioni Unite da parte di una manciata di paesi, i più potenti al mondo purtroppo, che si stanno rendendo complici del genocidio commesso da Israele.

Questo episodio è un’ulteriore prova della grave crisi dell’occidente e dei valori di cui ritiene di essere portavoce, ma che non è più degna di rappresentare da molto tempo.

Il secondo elemento che trovo sospetto è che l’UNRWA stesso, ma forse mancano a me alcuni elementi, non abbia risposto a Israele difendendo la sua Istituzione, chiedendo a Israele di portare le prove nelle debite sedi. Israele non è nuovo nell’uso della menzogna per raggiungere i propri scopi, come già ho menzionato in passato. Se dovesse esserci un coinvolgimento di queste persone sarebbe grave, ma non mi stupirebbe affatto che tra alcuni mesi emergesse, una volta che l’attenzione dei media su questa notizia fosse calata, che si trattava di accuse mendaci.

 

A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. 

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