Bethlehem separation wall - Shireen Abu Akleh graffiti

Una morte annunciata

Purtroppo da mercoledì scorso ho perso i contatti con Maysaa. L’ultima conversazione risale ad allora, quando le ho inviato nuovamente la donazione che non le era giunta nei giorni precedenti. Il suo profilo WhatsApp dice che l’ultimo accesso fatto risale al 13 dicembre alle ore 18:59. Ho scritto martedì al mio amico di Ramallah se esista una possibilità di accedere all’elenco delle vittime. Lui si è messo in contatto con la Croce Rossa, che riceve tutti gli aggiornamenti ufficiali da Gaza. Mi dice che è molto difficile riuscire a trovare i nomi, perché con la situazione che c’è a Gaza è difficile persino compilare un Excel per avere un elenco in ordine alfabetico. Mi ha detto che anche la direttrice dell’ufficio di Gaza della sua organizzazione è ancora dispersa sotto le macerie dei bombardamenti.

Mercoledì è riuscito comunque ad aggiornarmi: il nome di Maysaa, a mercoledì 20 dicembre, non era nell’elenco delle vittime. Purtroppo però sappiamo che ci vuole tempo per l’identificazione delle vittime, perché molte rimangono sotto le macerie per settimane, quindi ancora non possiamo sapere quale sia la situazione.  Settimana prossima gli chiederò di provare a fare un’altra verifica.

Anche con Dina avevo perso i contatti. Ho scritto a Rami, suo marito, che, come sapete, si trova a Betlemme. Domenica mi ha scritto: “ho perso i contatti con la mia famiglia, non so niente di loro, Non so se sono vivi, se sono morti”. Pochi minuti dopo Dina, per fortuna, ha ripreso i contatti con lui e poi anche con me.

In questi giorni i contatti si sono persi più volte, per diversi giorni, ma fino a ieri è stato possibile comunicare, anche se a intermittenza. Da settimana scorsa ci sono stati diversi tagli alla connessione nella Striscia di Gaza per mano israeliana.

Per il resto, non posso fare altro che comunicarvi la mia frustrazione e senso di impotenza per quello che sta succedendo in questi giorni e per come la politica e l’informazione occidentali stiano comportandosi. Credo che siano ancora più colpevoli del governo israeliano, quando evitano di votare per il cessate il fuoco alle Nazioni Unite o quando riportano notizie in maniera parziale o applicano il “doppio standard” a Israeliani e Palestinesi.

Esponenti del governo e del parlamento israeliano, nonché giornalisti e rappresentanti di organizzazioni dal 7 ottobre non hanno fatto altro che dichiarare la loro intenzione di “radere al suolo Gaza“, “mandare i Palestinesi nei paesi vicini“, hanno definito Palestinesi “animali disumani. I video di influencer, tiktoker, cantanti, presentatori televisivi israeliani che prendono in giro i Palestinesi che muoiono a Gaza e incitano all’odio sono decine. Sono tantissimi anche i video in cui i soldati israeliani dissacrano le case e gli oggetti dei palestinesi appena massacrati: defecano sui tappeti di preghiera, utilizzano i loro oggetti, vandalizzano case e negozi. Lanciano missili e bombe per “fare in modo che gli abitanti delle colonie possano vedere il mare”, si filmano mentre lanciano i missili e si fanno le maschere facciali nel frattempo. Per quanto un mucchio di video non facciano una statistica, dovrebbero comunque fare scandalo e farci pensare a quanto questo “diritto a difendersi” che reclamano, somigli molto di più a una licenza di commettere un genocidio verso un popolo che hanno completamente disumanizzato.

Il culmine arriva quando una agenzia immobiliare israeliana “per scherzo” diffonde una pubblicità per costruire villette in riva al mare sulle macerie e sui morti Palestinesi.

Intanto i giornalisti Palestinesi uccisi nella striscia di Gaza sono ancora aumentati. I numeri ufficiali riportati due giorni fa da Al Jazeera, secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ) parlano di 68 giornalisti uccisi.

I giornalisti a Gaza continuano a fare un lavoro straordinario nonostante questo conflitto sia il più mortale della storia moderna per la categoria. La storia di Wael Dahdouh è esemplare: ha perso la famiglia, ricevendo la notizia mentre era in onda, il primo novembre. Settimana scorsa è stato attaccato da cecchini israeliani che hanno ucciso il suo cameraman e ferito lui. Nonostante ciò non ha smesso nemmeno un giorno di andare in onda per Al Jazeera per documentare il massacro.

Al contrario la stampa e le fonti ufficiali israeliane utilizzano la menzogna come arma di propaganda in maniera sistematica. Lo fecero nel 2022 quando uccisero la giornalista Shireen Abu Akleh.

Lo fanno oggi diffondendo notizie di cui non abbiamo evidenza da parte di fonti indipendenti, come la decapitazione dei 40 bambini.

Inoltre pian piano stanno emergendo evidenze e dossier sul fatto che molti dei morti del 7 ottobre sono stati causati dallo stesso esercito israeliano.

La menzogna è stata usata anche per giustificare il raid dell’ospedale di Al Shifa, dichiarando che si trattasse di un quartier generale di Hamas. Notizia smentita da molte testate giornalistiche.

Quello che non riusciamo a dire in maniera chiara e forte è che ci sono tutti gli elementi per affermare che quella che sta avvenendo ora era una “morte annunciata” da 75 anni e più. La stessa nascita dello stato di Israele era basata su un’ideologia, quella sionista, che prevedeva la pulizia etnica dei Palestinesi dalla propria terra, con la deportazione, il terrore o lo sterminio. Quello che è avvenuto dopo il 1948 è sempre stata una continuazione più o meno blanda della strage del 1948, i cui numeri oggi sono stati superati.

L’uso, inoltre, dell’Olocausto per giustificare le atrocità che commette Israele è ulteriormente criminale. Ma questo lo disse molto meglio Norman Finklestein nel 2011.

https://it.wikipedia.org/wiki/Norman_Finkelstein

Vi invito per approfondire questi punti alla lettura di “La pulizia etnica della Palestina” di Ilan Pappè, il quale documenta in maniera puntuale in che modo tali piani siano stati costruiti e realizzati ancora prima del 1947/48 e a tutt’oggi.

Vi riporto solo un estratto del Piano Dalet, messo in atto allora e che somiglia tanto a quello che sta succedendo oggi:

Tra gli «Obiettivi operativi delle Brigate» come trattare i «centri occupati di popolazioni nemiche»:

«distruzione dei villaggi (appiccarvi il fuoco, farli saltare in aria con esplosivi e disseminare di mine le macerie), in particolare i centri di popolazione in cui è difficoltoso il controllo continuo. (…) Realizzare operazioni di ricerca e di controllo in funzione delle linee seguenti di condotta: accerchiamento e saccheggio del villaggio. In caso di resistenza, le forze armate devono essere distrutte e la popolazione espulsa al di fuori delle frontiere dello Stato ebraico».

Se davvero si vuole porre fine alla violenza in quella minuscola regione che è la Palestina (storica, ovvero comprendente anche lo stato di Israele), bisogna partire da questa consapevolezza e istituire una commissione per la verità e la riconciliazione, come fatto, per esempio, in Sudafrica e applicare la giustizia internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite, a cominciare dal diritto al ritorno per i sei milioni di profughi palestinesi.

Grazie per essere arrivati fino in fondo a questo lungo post.

Vi auguro di passare buone feste con le persone che amate, famiglia, amici, sconosciuti che siano. Diamo il più possibile valore a questi momenti, perché non sono scontati, né per noi né per la maggior parte delle persone che vivono su questo meraviglioso, ma spesso pieno di cicatrici, Pianeta.

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